Spionaggi botanici e immagini seriali
L'avvento della tecnologia non ha prosciugato le relazioni tra scienziati e artisti, le ha anzi rivitalizzate. Alcune tecniche ad altissima definizione come la microscopia elettronica forniscono immagini in bianco e nero e particolari essenziali possono essere rimarcati lavorando su contrasto e composizione. A legare i due mondi sono nuovamente i colori, che non devono più essere fedeli alla realtà, ma addirittura artificiali: la loro funzione è amplificare, sottolineare la natura e portarla più vicina ai nostri occhi.
Se un tempo i botanici portavano con sé gli illustratori in campo, oggi i ricercatori accolgono in laboratorio artisti visuali per creare immagini scientificamente ineccepibili e potenziate nelle cromie. Queste figure digitali assolvono due funzioni: di ricerca e disseminazione, calamitando il sense of wonder moderno, finendo sulle copertine delle riviste scientifiche più prestigiose e contaminando con un pizzico di estro umano l'oggettività della scienza.
Al tempo stesso, la tecnologia fotografica ha presto mostrato che i colori delle piante non rientrano solo nello spettro del visibile, ma si estendono ben oltre usando cromatismi ultravioletti e infrarossi per intessere complesse comunicazioni, ad esempio con gli insetti. I fiori che a noi appaiono gialli e le trappole di Sarracenia che a noi sembrano verdi, nascondono tonalità destinate ad altri occhi che indirizzano, nel bene e nel male, impollinatori e prede.
Antropocentrismo è anche pensare che l’unico punto di vista, anzi, l’unica vista sia la nostra e che l’aspetto della natura sia quello rivelato dai nostri sensi: anche questo tema rappresenta una delle impronte seguite dalla mostra.